Il capitalismo ha vinto la lotta di classe, la ricerca delle cause della sua vittoria non può essere sviluppata solo all’interno del meccanico intreccio tra economia e politica di stampo marxista. Inoltre, se l’errore di Marx può essere giustificato alla luce delle conoscenze dell’epoca, altrettanto non si può fare con i tanti marxisti di oggi che rifiutano gli sviluppi del pensiero che ci sono stati nella seconda metà del XX secolo.
La coniugazione del marxismo del XXI secolo deve partire dal mettere al centro la persona nella sua interezza, dunque non riducendola di volta in volta in spectrum politico o economico, oppure analizzandola in quanto consumatore, o spettatore, o interconnesso digitale,…
Dobbiamo ricomporre queste segmentazioni, segmentazioni che ci hanno pur sempre fatto capire molto, ma che ci hanno anche impedito di capire in tempo come e perché il capitalismo stava vincendo, cioè che il capitalismo ha vinto anche perché ha saputo rispondere meglio all’Io e alle istanze del profondo della natura umana.
Il pensiero della sinistra marxista per troppo tempo si è privato degli apporti di Nietzsche, Freud e Heidegger, fermandosi al chiudere in gabbie i loro contributi indispensabili alla conoscenza dell’uomo, e dunque del mondo. Ma si sa che il “grande pensiero” va molto più in là delle scivolose superfici ideologiche e politiche. Intanto, però, abbiamo perso un secolo per l’idiosincrasia dei nostri eroi dell’ortodossia.
Partire dalla persona ci impedisce di arrivare agli orrori dello stalinismo oltre che del fascismo e del nazismo, ci impedisce anche di cadere nell’orrore di chi salva gli animali e allo stesso momento resta indifferente davanti alle sofferenze umane, di chi si arrocca intorno a principi eterni che in realtà sono caduchi come foglie di alberi, insomma partire dalla persona depotenzia gli integralismi.
Il capitalismo, così come lo conosciamo oggi, è il punto di approdo di una lotta centenaria tra capitale e lavoro, il che vuol dire ammettere che il capitalismo ha governato il mondo perché è stato capace di essere inclusivo, ha riconosciuto un ruolo alla classe operaia e ne ha tratto soluzioni che hanno creato migliore qualità della vita pur mantenendo inalterato il suo potere.
Oggi però il capitale non utilizza più il potente motore della contraddizione capitale-lavoro del XX secolo.
Perché?
Perché ha trovato più convenienti altre strade: dagli anni 70 la ricerca di nuove tecnologie è dettata direttamente dalla ricerca di nuovi consumi e consumatori e non dalla soluzione dei conflitti di classe. E’ evidente che la forza contrattuale che può mettere in campo l’uomo consumatore, tra l’altro tenuto permanentemente a tiro dal desiderio di merci, è ridicola rispetto all’uomo produttore, e non formerà mai una classe come era accaduto agli operai.
Se i modi di produrre, comprese le organizzazioni del lavoro, si definiscono in base ai prodotti da immettere sul mercato e non per rispondere a richieste di nuovi diritti dei lavoratori, il motore marxista si spegne. E’ per questo che i sindacati, tutti, sono impotenti e non fanno altro che sopravvivere facendo assistenza, che pure è cosa nobile, ma certamente da loro, così come li conosciamo, non potrà venire alcun pensiero alternativo. Dagli anni 70 si sono aperti scenari di ricerca inediti e tanto è stato creato dal pensiero critico.
Quali sono i nodi da sciogliere e quali da annodare, come si creano focolai di soggettivazioni autonomi e interconnessi, quali relazioni sperimentare che non siano quelle a cui rimaniamo abbarbicati solo per paura, o quelle veicolate nel nostro bios dal potere?, … ?
Cominciamo con l’ammettere che la crisi della classe operaia e dei suoi strumenti organizzativi di contropotere è crisi definitiva, che in questa fase storica il potere capitalista ne esce enormemente accresciuto per il venire meno del polo di carica opposta con cui era costretto a relazionare, che questo potere è diventato assolutista e dunque che potrebbe essere finita la fase del mercato che genera democrazia e che gli strumenti di cui si serve sono le reti interconnesse, non a caso governate da poteri assoluti e anti democratici.
Ma questa liquefazione del campo non sottoposto più alle linee forza dei due poli opposti, alla lunga, non potrebbe diventare anche la fine del capitalismo, o per lo meno della sua forma storicizzata?
Effettivamente queste riflessioni possono viaggiare lungo questo asse, ma solo se le innovazioni risolvano in tempo e in modo soddisfacente le questioni poste dal pensiero ecologista.
Voglio dire che se si trovano nei prossimi trent’anni fonti energetiche illimitate, tipo la fusione, che permettano di riscaldare e raffreddare, umidificare e deumidificare, spostarsi, alimentarsi, coltivare i deserti, assorbire o meglio ancora abolire gli inquinanti, allora il conflitto viaggerà per creare equilibri democratici sulla base di conquiste di libertà, diritti e realizzazione della persona in quanto tale. Ma se la soluzione dovesse essere la restrizione dei consumi per ricreare uno stato di equilibrio planetario io vedo un futuro di guerre spietate, e saranno tutti i sud del mondo che sferreranno l’assalto al cielo. Io vedo guerre ambientali giacché la sordità, di chi ha acque e risorse economiche in abbondanza, al grido che si leva dai sud genererà lotte per la sopravvivenza. Sarà uno scenario di orrori quello della gestione della decrescita, tutt’altro che felice, e questo per la semplice ragione che nessuno si adopera per coinvolgere i sette miliardi di umani in un percorso culturale di presa di coscienza e dunque di una decrescita consapevole e partecipata. In un mondo che non riesca a gestire questo percorso, per la prima volta planetario, solo le guerre e le distruzioni potranno ricondurre al contatto con la cruda realtà dell’impotenza umana. E forse una volta ancora, precipitati nella polvere, gli umani potranno ripartire.
Rispetto a questi due scenari cosa possiamo fare?
Si, auto elettriche, fotovoltaico, eolico, …, microdistribuzione delle energie, …, ma non basteranno, non ci sarà il tempo, buona parte dell’Africa è già oggi allo stremo. Saremo costretti alla solita ipocrisia che contraddistingue la sinistra, grideremo no alle limitazioni degli sbarchi sperando che altri le pongano e ci permettano di sentirci anime candite? Ma quelli che hanno in mano il mondo da tempo sanno leggere quale sia la nostra vera natura sotto le lenzuola, e dunque i loro poteri saranno rafforzati anziché indeboliti, ecco perché per costruire reali contro poteri dovremmo rinunciare all’ipocrisia, diventare adulti, trovare soluzioni e soprattutto realizzarle.
Se noi continuiamo a rimanere quello che già siamo, se noi non sperimentiamo nuove forme di relazione e preferiamo i nostri confort pur bestemmiati pubblicamente, non avremo mai la forza per generare nuovi mondi.
Non è forse anche questo pronunciare parole che non diventano corpo e sangue del fare, non è forse anche questa divisione del pensare dal praticare, non è il non far nascere il pensare dal “praticare il pensare” il male che ci debilita?
Noi dovremmo produrre, è solo il produrre che unisce le auspicate e intangibili soggettività in possibili oggettività. Senza il produrre come dimostrazione delle parole rimane il rumore di fondo creato da tutti i media.
I postmoderni negli anni 70 avevano demolito la progettualità positivista, dunque il marxismo politico, perché impediva di liberare la creatività. Era un passaggio necessario, ma per che cosa?
Molti pensano che si elimina una visione unica per crearne un’altra, per costoro sarebbe impossibile per l’uomo vivere, agire, creare futuro, senza una weltanschauung unificatrice, dunque questi sono oggi alla ricerca di una nuova visione del mondo che ci unifichi. Altri, ed io tra questi, pensano che la distruzione dell’unicum non sia una fase transitoria ma un punto di approdo, approdo che prefigurerebbe la ricerca di nuove forme relazionali che partendo dalla conquistata intangibilità dell’Io sperimentano dei Noi per scelta libera, cioè Noi non dettati da necessità, Noi leggeri, continuamente rinegoziabili, Noi mutanti e non monumentabili.
Sia che si pensi a definire una nuova visione del mondo, sia che si pensi a una ricerca libera da qualsiasi gabbia, abbiamo un percorso comune: sperimentare la creatività di moltitudini capaci di agire in totale autonomia e separatezza dal pensiero dominante, e questo lo si può fare in piccoli gruppi locali in presenza, senza rifiutare le tecnologie come supporto, piccoli gruppi locali che pensano e che sperimentano relazioni nel produrre Beni Comuni.
L’errore, tutto di impostazione vetero-marxista, del movimento dell’acqua bene comune, stava proprio in una lotta che, pur se lodevole, non costruiva un percorso di Bene Comune dal basso, giacché finiva col proporre a uno stato la gestione del bene comune. Senza poi contate che agiva nella classica visione della lotta per la conquista di diritti senza doveri, diritti senza auto responsabilità. Questo pensiero non genera un mondo diverso da quello in cui viviamo, questo pensiero ha sempre bisogno di uno stato centrale che governa, e se va bene, che ridistribuisce ricchezza.
Un nuovo mondo si comincia a costruire portando la legge dentro di sé, dunque eliminando qualsiasi ente esterno a cui demandare l’ordine, dunque eliminando lo stato e le istituzioni che ne rappresentano le articolazioni. Per costruire un mondo altro dobbiamo agire assumendo responsabilità che finora abbiamo delegato allo stato, si tratta di un percorso di utopia dolce giacché non crea conflitti canalizzabili in guerre, dolce perché non ci sono più palazzi di inverno da assaltare, o regicidi da compiere, un’utopia affermativa, cioè che si occupa direttamente della realizzazione, del vivere la propria alterità.
D’altra parte il comunismo lo ha realizzato il capitalismo, non è una contraddizione, e non sono io a dirlo, ci sono diversi marxisti che lo hanno scritto. E vogliono dire che il capitalismo ha svuotato il comunismo rivolgendosi direttamente alla persona mentre il marxismo demandava questo approdo finale dopo un indefinito percorso di dittatura del proletariato che avrebbe costretto gli individui a cambiare la loro natura borghese. Sappiamo com’è andata, la forza dell’Es è troppo più potente di qualsiasi dittatura, e meno male, perché essa ci ha salvato. Ma possiamo noi non partire da questa forza?
No, non possiamo, noi dovremmo partire da questa per esercitarla sia come potenza destituente che come potenza costituente senza però mai trasformarla in potere costituito.
Ecco questa coniugazione dell’anarchia, del tutto personale, mi convince più di ogni altra perché tiene conto della grande creatività del pensiero umano della seconda parte del XX secolo e dell’inizio di questo XXI.
Ma quale Noi? Il pensiero giudaico greco ci ha portato a vivere il Noi che genera un Voi trasportando la pur necessaria relazione/distinzione Io-Tu a un Noi-Voi che era dettato più dal potere politico che dalla natura umana. Aggiungo che anche il pensiero che ancora si crea attraverso la dialettica utilizza uno schema Noi-Voi, dunque anche la dialettica ha bisogno di essere superata, magari da una visione dove i confini tra Io-Tu, Noi-Voi, tra le etnie e gli stati siano ridotti a pura necessità di ritmo del paesaggio, dunque valicabili liberamente e in ogni senso. Dovremmo cercare un altro Noi: un Noi che non genera un Voi. Magari cominciando col creare un altro pronome plurale che non sia l’attuale Noi, cioè un pronome che includa in sé il senso di “Noi senza Voi”. Nel 2010 definii questa condizione con un concetto che zerotremilacento proiettò su tutta la facciata dell’attuale palazzo della Regione Lazio sito presso la stazione da basso dell’ascensore inclinato di Frosinone: Io senza Noi/Voi, città aperta oltre l’identità.
Infine: i limiti della rete sono enormi, la comunicazione ne è condizionata, ma possiamo mettere in crisi questi limiti e i comportamenti dominanti, mettere in crisi le contrapposizioni Noi-Voi e il male della dialettica se agiamo per empatia. L’empatia crea molto di più di un ponte, ed perfino di più delle frontiere aperte, l‘empatia è la base per una relazione che crea Noi senza condizionare gli Io, che crea Noi che non generano Voi. Vorrei essere letto con empatia e non solo con pensiero logico cognitivo.