Visioni enne.0_premessa

bianco-rymanHo messo insieme un po’ di riflessioni per cercare un filo conduttore, forse non c’è, forse però queste riflessioni possono servire per stimolare approfondimenti e per lanciare altre idee. Le ho definite visioni enne.0…, e sono parziali, per salti, necessariamente e assolutamente aperte a contributi di tutti gli uomini e le donne che ne condividono i principi ispiratori. Come è mio stile, le riflessioni non sono disgiunte dal mio percorso personale, dunque è solo per questo che parto dal 1976, anno in cui, volendomi confrontare col PCI che fino allora non avevo neanche votato, mi resi conto che anch’io, e già da un paio di anni, ero passato da una visione rivoluzionaria a un’altra che era, e rimase, indefinita. Ed è sempre per il mio partire dal personale  che è presente una certa centralità del comunismo, comunismo che (non fui mai iscritto al PCI per essere io anti stalinista e con una visione negativa del socialismo reale) rimase fino a questa riflessione il mio riferimento ideale. Spesso i termini virgolettati vogliono sottolineare l’uso di terminologie classiche che però, a mio avviso, non sono più adatte ad esprimere le nuove condizioni, è come ammettere che, fin dalle parole, anche il linguaggio non è più capace di esprimere il presente e il futuro.

Visioni enne.0

Che qualcosa non andava se n’era accorto anche Enrico Berlinguer quando lanciò, pur senza mettere mano a principi di teoria politica, la politica dell’Austerità utilizzando anche concetti del comunista eretico Pasolini (il consumismo, la mutazione antropologica della società e il genocidio culturale perpetrato dallo sviluppo senza progresso). Berlinguer, in quel comitato centrale dell’ottobre 1976, propose che il movimento dei lavoratori si facesse carico di sacrifici per portare il paese fuori dalla crisi economica. È vero che in quella circostanza l’austerità fu presentata come uno scambio gramsciano per modificare in favore del lavoro il rapporto di forza col capitale, è vero che anche nel primo dopoguerra PCI e PSI “permisero” un iper sfruttamento dei lavoratori per consentire la ricostruzione, ma è anche vero che mentre allora le sinistre uscivano sconfitte dalle elezioni del 1948 nel 1976 il PCI era al massimo della sua espansione e con la convinzione che senza i comunisti non si era più in grado di governare il paese. Se poi si aggiunge la svolta della CGIL di Lama che nello stesso anno abbandonò il concetto di “salario come variabile indipendente”, il quadro si completa: in due mosse il PCI di partito e di sindacato smantellò le fondamenta della sua alterità politica ed economica lasciando solo l’alterità morale, alterità rivendicata da Berlinguer fino alla sua morte. Dall’intervento Berlinguer al Comitato Centrale del 1976:
“… La politica di austerità quale è da noi intesa può essere fatta propria dal movimento operaio proprio in quanto essa può recidere alla base la possibilità di continuare a fondare lo sviluppo economico italiano su quel dissennato gonfiamento del solo consumo privato, che è fonte di parassitismi e di privilegi, e può invece condurre verso un assetto economico e sociale ispirato e guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici, quali sono la cultura, l’istruzione, la salute, un libero e sano rapporto con la natura. …”.
La portata di queste scelte, che in tempi successivi si andarono esplicando e completando, era ben oltre il contingente, infatti assorbiva nuove e inedite priorità quali la non riduzione del benessere al semplice possesso di beni materiali, il farsi carico delle implicazioni morali, …., insomma fu una vera svolta che però non incontrò il favore popolare perché ormai si era alle soglie dell’edonismo della Milano da Bere.

[PCI e PSI condividono la pesante responsabilità di essere divisi, concorrenziali e perfino contrapposti dalla seconda metà degli anni 70, anni in cui le sinistre unite ebbero il massimo dell’espansione (PCI+PSI+ DP = 46%; con PSDI, PRI e Radicali = 54%). La forte crescita del PCI e la stasi del PSI portarono a due peccati di presunzione. Il PCI, partendo dalla preoccupazione di rassicurare il campo NATO, preoccupazione rafforzata dalla tragica fine del Governo Allende, lancia la strategia del Compromesso Storico, strategia che prevede il coinvolgimento contemporaneo nelle responsabilità di governo delle tre culture politiche italiane, la democristiana, la socialista e la comunista. Questa strategia portò al Governo di Unità Nazionale. Nel campo socialista l’oggettiva riduzione del ruolo del PSI all’interno del Governo di Unità Nazionale indirizzò questo partito verso una strategia di concorrenza quando non di contrapposizione al PCI. E’ proprio con questa strategia dell’ala autonomista che Bettino Craxi defenestrò l’allora segretario Francesco De Martino. Una volta conquistato il partito, Craxi assunse l’orizzonte strategico dell’Alternanza di Sinistra, poi si smarcò dal Governo di Unità Nazionale proponendo continui distinguo, due per tutti: il contrasto alla linea della fermezza contro il terrorismo durante il rapimento Moro e le successive azioni terroriste e l’assemblea del Lirico di Milano per rompere l’egemonia sociale comunista e sindacale della CGIL. In seguito, caduto il Governo di Unità Nazionale, il PSI, insieme agli altri alleati storici della DC, diede vita al governo del Pentapartito. L’era del CAF, Craxi-Andreotti-Forlani, fu caratterizzata da una strategia diversa da quella degli anni 60: mentre in quegli anni il PSI al governo rappresentava la sinistra, infatti i governi furono definiti di Centrosinistra, negli anni 80 il PSI al governo rappresentò solo se stesso e anche in funzione anticomunista, tant’è vero che quei governi furono definiti asetticamente di Pentapartito. Alla strumentalità della proposta craxiana di Alternanza di Sinistra, il PCI, una volta uscito dall’area di governo, rispose abbandonando il Compromesso Storico e proponendo l’Alternativa di Sinistra, cioè qualcosa di simile a quella lanciata dai socialisti quando si erano sentiti schiacciati nella morsa del Governo di Unità Nazionale. Ma Craxi risponderà che questo potrà accadere solo dopo un ”riequilibrio a sinistra”, ovvero un PSI elettoralmente forte almeno quanto il PCI.
Conclusione, i due partiti dichiaravano di volere la sinistra unita al potere solo come arma tattica dell’uno contro l’altro. Questa incapacità della sinistra di darsi una strategia comune finì per l’essere sfruttata dalla DC che poté rimanere per altri 12 anni forza determinante della scena politica italiana. Ma come ebbe a dire Berlinguer nell’intervista a Scalfari del 1981, la pregiudiziale anticomunista creò una cappa di sicurezza per tutti gli occupanti del potere che, potendo contare sull’assenza di rinnovamento della classe politica, occupano lo stato e l’economia pubblica infettando tutto il tessuto della società italiana. La qual cosa fu dimostrata dal 1992 in poi da tangentopoli.]

Perché Berlinguer smantellò l’impalcatura comunista?
Per due ragioni, la prima, allora non completamente confessabile, perché da tempo si era reso conto che i paesi comunisti non solo avevano “esaurito la spinta propulsiva”, ma non garantivano neppure i diritti dei lavoratori e ciò nonostante, anzi forse proprio per questo, accumulavano ritardi di produttività di sistema tali da portarli sull’orlo dell’implosione. La seconda perché, creandosi le condizioni di governare il paese, il PCI doveva rendere concreta quella terza via che pure aveva già teorizzato, una terza via che non metteva più in discussione il libero mercato, il capitalismo, la democrazia occidentale e l’alleanza atlantica, dunque?
Possiamo dire che il PCI dalla fine degli anni 70 non era più comunista, e mi riferisco al comunismo fino allora conosciuto e maggioritario (nell’intervista a Scalfari del 1981 in qualche modo egli faceva chiaramente capire che era molto in sintonia coi socialisti degli altri paesi europei, non con quelli italiani perché questi erano i primi ad aver posto una pregiudiziale anticomunista). Non possiamo sapere se Berlinguer avrebbe avuto il coraggio di anticipare la caduta del Muro di Berlino perché egli morì nel 1984, sappiamo che toccò a Occhetto formalizzare la chiusura di ciò che nella sostanza era già avvenuto 14 anni prima. Da quel 1989 in poi gli orizzonti ideali “comunismo” e “socialismo” furono sostituiti da definizioni che non indicavano più una finalità sociale ma solo “collocazioni spaziali” come “sinistra”, o metodologiche come “riformismo”. Ecco dunque PDS, DS, PD. Ancora oggi esistono formazioni politiche che riportano comunismo e socialismo nel nome, ma il loro peso è irrilevante.

[Negli anni 80, con l’avvento di Regan e Thatcher, da parte occidentale si mette in atto una contrapposizione più aggressiva nei confronti del blocco sovietico, aggressività che si esplica con:
– la ripresa del riarmo USA e della NATO (bombe al neutrone che rendono “possibile” una guerra nucleare, dispiegamento dei nuovi missili Cruise che sfuggono ai controlli radar, nuovi sistemi di controllo e di difesa planetaria, ….);
– l’avvento di nuove tecnologie (spesso sviluppate proprio dalla ricerca militare, vedi Internet, la diffusione dei computer, l’automazione dei processi produttivi con la diffusione di macchine a controllo numerico e l’introduzione di robot a controllo umano, la qualità totale, …);
– il processo di finanziarizzazione globale (raccolta e spostamenti liberi di enormi masse di capitali da mettere a disposizione della ricerca e dei nuovi modi di produrre).
Si crea così un divario sempre più crescente tra il blocco occidentale e quello sovietico. Ai fattori economici, militari e politici si devono aggiungere la crescente capacità di penetrazione mondiale dell’informazione occidentale, nel 1980 nasce la CNN, e la forte attrazione a livello globale degli immaginari occidentali che vanno da Hollywood a Giovanni Paolo II. Il blocco sovietico era rimasto prigioniero del controllo militare e politico delle aree di influenza degli anni 60, aiuti militari, eserciti direttamente impegnati nelle aree di controllo. Economicamente si era attardato al controllo delle materie prime piuttosto che impegnarsi nello sviluppo di nuovi processi trasformativi e distributivi delle merci. Le spese militari sempre crescenti erano già da tempo finanziate comprimendo i consumi interni, sia privati che collettivi. Infine, ma non certo per ultimo, mentre l’occidente riusciva a garantire una crescente capacità di sviluppo dei consumi privati vissuti come crescente potere dell’individuo, crescente libertà e maggiori diritti alla persona, i paesi dell’est si ritrovavano privi di una visione “attraente” in termini di miglioramenti della qualità della vita delle persone. Osservando la parabola sovietica oggi si può dire che il fattore determinante della stasi e poi del crollo del socialismo reale fu l’aver abolito il conflitto sociale e politico, che non a caso Trotsky voleva permanente, e dunque di avere soltanto sostituito al capitalismo di mercato un capitalismo di stato con l’aggravante di averlo fatto eliminando il vero motore del progresso (il conflitto), cosa di cui le democrazie occidentali seppero beneficiare. Il tentativo di Gorbaciov di riformare l’URSS e di porre le basi per un altro socialismo fu tardivo e impotente, anche perché, come era prevedibile, anziché essere aiutato fu utilizzato dall’occidente per ottenere il collasso e la resa totale di tutto il Patto di Varsavia.]

Conclusione 1: Non ci sono traditori e rinnegati, ci sono fatti concreti che hanno decretato la fine dei partiti comunisti e socialisti, i gruppi dirigenti ne hanno solo preso atto, e i più capaci hanno cercato altre vie, vie che ancora non sono state trovate. Per quanto riguarda le esperienze socialdemocratiche europee, queste hanno svolto storicamente il ruolo di statualizzare con riforme le mediazioni del conflitto capitale-lavoro spostando questo conflitto verso nuovi obiettivi. Queste esperienze hanno avuto oggettivamente un ruolo positivo finché il conflitto fu il motore del progresso ma da quando questo conflitto è stato spazzato via dai nuovi sistemi economici e produttivi le socialdemocrazie hanno perso la loro identità e funzione. Ci sono poi i nostalgici di quel socialismo e comunismo che si rifanno a realtà sociali una volta maggioritarie e oggi residuali, essi sono costretti dalla storia ad essere irrilevanti; si può comprendere i loro sentimenti ma politicamente bisogna essere netti: non sono in grado di prospettare alcun futuro per il semplice fatto che la loro visione di futuro è il passato che non può ritornare.

Negli anni 80 inizia una rivoluzione tecnologica con un’accelerazione inarrestabile e globale che è ancora oggi in corso e di cui nessuno è in grado di prevedere l’esito finale. Questa rivoluzione travolgente, e che per la prima volta avvolge tutto il pianeta Terra, ha sbriciolato le relazioni sociali così come erano state fino agli anni 70, ha sconvolto la geopolitica, ha aperto un’era dalle caratteristiche inedite e in costante, e forse perenne, divenire vorticoso. Tutto è movimento, tutto è in corso d’opera, la velocità è un parametro fondamentale dell’economia e della politica, le reti hanno annullato lo spazio e dunque è il tempo l’elemento cardine della velocità. Si produrrà sempre più in spazi virtuali mettendo in relazione competenze e mezzi di produzione non presenti fisicamente, si progetterà, programmerà e si produrrà ad personam e in specific contest. Sempre più il lavoro sarà in rete e le relazioni saranno virtuali, sempre più si diventerà “imprenditore di se stesso”, ovvero direttamente responsabili degli esiti e in quanto tali immessi in un sistema economico e produttivo in rete a nodi orizzontali con una piramide sovrastante inaccessibile e assolutamente di dominio proprietario. E’ in questo quadro che si sta realizzando la quarta rivoluzione industriale: robot che auto apprendono a riconoscere e a trattare oggetti e materiali che prima non conoscevano, robot che operano in reti di robot senza che la presenza umana sia indispensabile, robot che non si fermano, non vanno in ferie, non rivendicano, non scioperano; oggi sono ancora molto costosi ma quando comincerà la produzione su larga scala costeranno molto poco e alcune previsioni dicono che alla fine dei prossimi dieci anni i posti di lavoro occupati dai robot potrebbero essere alcune centinaia di milioni. Dopo la sperimentazione della rete globale dei taxi Uber, è pronto l’assalto a tutti i servizi alla persona, il bigfarma è già una realtà, reti mondiali ci proporranno servizi in tutti i campi, all’inizio a prezzi stracciati, poi, conquistato il monopolio, decideranno il prezzo della nostra vita. Assicurato saldamente il potere delle reti economiche in mano ai domini, le relazioni tra le persone diventano sempre meno costrittive, non ci sarà più la necessità di presenza contemporanea sul luogo di lavoro e dunque la necessità di recarsi nel luogo di lavoro. I lavori potranno essere sempre più personalizzati , i salari saranno sempre più personali e non ci sarà più la necessità di costringersi in organizzazioni di massa per essere forti nelle rivendicazioni. Molti dei servizi alla persona potranno essere richiesti e usufruiti tramite device, mobili o fissi, insomma:

ci incontreremo sempre meno per obbligo e, se vorremo, sempre più per scelta e per piacere.

Intanto però la preparazione alla fabbrica 4.0 passa attraverso la costituzione di una sorte di nuovo sottoproletariato: lavoratori a bassissimo contenuto culturale , precari in varie forme e senza prospettiva di crescita qualitativa e salariale che proliferano in settori come la consegna della merce, le catene dei fast food, i call center, la gestione delle merci e dei desk dei mega store della grande distribuzione, ecc.. Sono lavori in gran parte destinati un giorno ad essere svolti dai robot, compresi quelli che volano coi droni. I salari sono minimi e i ritmi incessanti. I terminali mobili, che accompagnano questi lavoratori, registrano i ritmi, la mobilità, la quantità di “pratiche” evase, dunque sembra essere precipitati nella fabbrica del XIX secolo o in quella tayloristica dei rilevamenti di tempi e metodi. [E’ quello che accade per esempio in Amazon, il più grande distributore di merci del mondo, accumulazione di enormi capitali e investimenti massicci in tecnologia, cosi oggi Amazon ha già cominciato a consegnare merci con droni e imballa, scaffalizza, ricerca e carica merci per le consegne tramite robot].
I lavori più duri sono affidati ai migranti che proprio per lo stato di migranti sono privati di tutti i diritti di cittadinanza nel paese di migrazione; l’enorme massa di uomini e donne in cerca di migliori tenori di vita crea un’ampia disponibilità di forza lavoro a bassissimo costo, il che da una parte rende competitivo un sistema produttivo e dall’altra crea la condizione di assenza di conflitto sociale antagonista, se non per insignificanti micro conflittualità. L’assenza di conflitto comporta anche la riduzione degli investimenti per migliorare le condizioni di lavoro e per la protezione del lavoratore, insomma lo sviluppo tecnologico non comporta un progresso nella qualità del lavoro e nella qualità di vita. Contemporaneamente i grandi trust globali, assecondati dai poteri politici nazionali più influenti, G7, G8, …G20, sono impegnati nella gestione della globalizzazione cercando di guidarla verso il modello unico attraverso:
– strumenti fiscali. Basse tasse per la new economy, stati paradisi fiscali, flussi di denaro a basso costo quando non a interessi negativi.
– strumenti monetari. Svalutazioni e rivalutazioni.
– strumenti militari. Armando e disarmando paesi, addestrando eserciti, infine impegnandosi con la loro presenza diretta nei teatri di guerra per il controllo di asset strategici.
La prima fase di questa strategia globale, quasi interamente compiuta, prevedeva che tutti i paesi fossero regolati dal mercato capitalistico.
La seconda fase, quella attuale, prevede che i paesi con i lavoratori con salari più alti della media mondiale procedano a una politica di riduzione dei salari reali fino a quando la stragrande maggioranza del pianeta non abbia raggiunto livelli di reddito globale più o meno equivalenti. Dunque il governo del mondo si realizzerebbe eliminando l’attuale divisione tra paesi ricchi, paesi in via di sviluppo e paesi poveri; in ogni paese sarebbero presenti i redditi dai più ricchi ai più poveri, il che da una parte ridurrebbe la possibilità di conflitto tra i vari paesi del pianeta e dall’altra permetterebbe in ognuno di questi il controllo della forza lavoro e le condizioni per una promozione sociale che garantisca la stabilità politica del sistema capitalistico. [forse questo progetto di mondo non prevedeva l’enorme divaricazione della forbice salariale che si sta producendo, perché i teorici del neo liberismo sanno che questa divaricazione alla lunga destabilizza il sistema e dunque può innescare conflitti per i quali la soluzione keynesiana ha già dimostrato di non funzionare più.
Dunque potrebbe essere questa contraddizione ad aprire una crepa nella solidissima costruzione del capitalismo globale del XXI secolo?].
Premesso che i processi in divenire non sono nella stessa fase in tutti i paesi del pianeta, è indubbio che il capitale ha rivoluzionato il modo di produrre e di distribuire le merci rendendo inutili i movimenti dei lavoratori così come li avevamo finora conosciuti. Il WTO degli anni 90 ha decretato la fine delle economie nazionali spostando i poteri economici in ambiti sovranazionali e fuori dai controlli della politica in quanto, all’oggi, non esiste alcun potere politico a livello planetario democraticamente eletto da tutti gli abitanti del pianeta. Insomma al capitale è concesso un potere quasi illimitato mentre ai governi nazionali non resta altro che creare welfare locali compatibili economicamente con le condizioni globali. Si poteva dire di no al WTO? Certo, ma fatto da soli e senza forti organizzazioni mondiali alternative sarebbe stato quasi sicuramente peggio, come dire che molti stati, pur non convinti della bontà di quell’accordo lo firmarono perché era meglio una piccolissima fetta di torta che niente.

Doniamo noi stessi inconsapevoli vittime
Oggi il centro dello scontro va collocato nel sistema che produce comunicazione e informazione, quel sistema che va dalla produzione dei device e software alla produzione di reti di accumulo, accesso e comunicazione dei dati. Questo sistema di forma in continua evoluzione sembra inafferrabile, non si finisce di conquistare una propria autonomia che già il sistema ha creato nuovi luoghi e nuove forme che richiedono nuove abilità per poterlo utilizzare. Nella corsa dietro le innovazioni siamo sempre in affanno e dunque piuttosto impossibilitati a acquisire una capacità di critica, di elaborazione della critica e di formulazione di contro proposte. Spesso nelle reti si discute anche di politica, ma mai di politica della rete. E intendo capacità di esercitare la critica del mezzo che si usa, perché il vero potere che ci sta rendendo politicamente impotenti è proprio nel mezzo che ci ha resi interconnessi, produttori e consumatori allo stesso tempo, nonché alimentatori inconsapevoli della ricchezza di coloro che a parole alcuni di noi dichiarano di combattere. [E’ come se gli operai degli anni 70 nelle assemblee e nei Consigli di Fabbrica anziché occuparsi delle loro condizioni di lavoro discutessero se la FIAT 850 fosse più bella o più brutta della Renault R5].
Cosicché i meno abbienti, compresa quella che una volta si definiva classe operaia, sono sempre meno capaci di comprendere le complessità, di criticarle e di indicare soluzioni alternative, cosa che il movimento operaio sapeva fare in maniera diffusa fino agli anni 70. Non solo non si è capaci di pensiero critico ma si è addirittura gratuitamente a disposizione del “nemico” laddove quotidianamente offriamo le nostre “scie di vita”, le nostre elaborazioni, la nostra creatività attraverso le reti che utilizziamo. Le informazioni che gratuitamente offriamo sono dissezionate e ricomposte per creare i big data, cioè la merce oggi più preziosa; big data che servono a produrre beni e servizi, questi però di proprietà privata e che poi saremo costretti a comprare. Se prima vendevamo la forza lavoro, se dopo fummo espropriati anche del sapere e del controllo dei processi produttivi, oggi siamo noi stessi, senza essere costretti, senza essere pagati, ad offrire tutto, anche i nostri sentimenti, anche le nostre emozioni, perfino i nostri segreti più remoti – dunque la nostra ricchezza più profonda e preziosa – al potere economico globale. Ma mentre ci offriamo gratuitamente, impudicamente e completamente ai nostri sistemi globali, questi rendono le nostre creazioni, la nostra intimità auto profanata una loro proprietà privata. La robotica 4.0, i beni di consumo, perfino i film, i romanzi e i programmi televisivi che vediamo e vedremo sono prodotti scaturiti dai big data delle nostre intimità. La biopolitica di foucaultiana memoria è arrivata fino in fondo, non c’è più bisogno di guardie per gli schiavi, né di panopticon, né di tecnici di tempi e metodi, noi siamo “disciplinati” dentro, non solo per finalità produttive ma siamo stati “disciplinati” perfino nei tempi e nei modi dei sentimenti, delle estetiche, delle emozioni. Dai sistemi partono input per registrare le nostre reazioni e per poi classificarle, scomporle, ricomporle, riproporle come generatori di nuovi input, ecc….

Conclusione 2: Non c’è “coscienza di classe”, il centro dello scontro non è più laddove pensavamo che fosse e forse non c’è più “il luogo” dello scontro tra potere e contro potere perché tutto è diffuso, intruso, pervaso. Dove risiede il centro del potere di una rete? Nell’hardware? Nel software? Nelle banche dati? Nella catena di comando del sistema rete? … e poi, …. se la mia pensione è in mano a un fondo di investimento e il suo valore dipende dalla capacità speculativa del fondo, dalla capacità di lucrare profitti, lotterò io contro la finanza speculativa? …. e poi, se si opera nelle nuove aziende leader del mondo, Apple, Google, Facebook, Twitter, ecc…., ovvero nei luoghi delle produzioni globali dominanti, non solo sarà molto diluita la separazione capitale/forza lavoro (gli operatori sono integrati nel possesso dei mezzi di produzione), ma gli stessi addetti (si possono ancora definire forza lavoro?) lavoreranno da matti perché partecipano in maniera consistente ed esponenziale ai profitti, ….
… e poi ci sono le esperienze di cooworking, laddove si sperimentano forme di produzione mettendo in comune gli strumenti, gli spazi, i tempi, … tutto senza gerarchia, fluidi nello spazio e nel tempo di relazione,…
… e poi c’è la sharing economy, ovvero sistemi che permettono di fruire di mezzi e servizi senza averne proprietà, in un rapporto senza intermediazioni, dunque a prezzi più bassi, in un rapporto diretto tra fornitore e fruitore, in un rapporto dove il fornitore è allo stesso tempo anche fruitore, ecc..
… e poi c’è il crowdfunding, laddove un soggetto presenta un progetto e chiede al mondo di finanziarlo offrendo ai finanziatori il beneficio del prodotto, totale o parziale, o altri benefici. Le quote di partecipazione sono bassissime, alla portata di tutti. ….

Conclusione 3: Si è sempre più un po’ dentro e un po’ fuori, si è sempre più compartecipanti a tutti i livelli. E’ sempre più difficile separare i ruoli, a primo impatto è tutto più ambiguo, confuso, indistinguibile; la tendenza in atto è quella di andare oltre i ruoli economici e sociali finora conosciuti.
Proprio per i processi in atto di cui sopra, propongo alcune domande che meriterebbero risposte non convenzionali:
– Come si difendono e si conquistano nuovi diritti nel XXI secolo?
– Come si può difendere posti di lavoro, reddito, diritti,…, quando chi possiede i mezzi di produzione può delocalizzare a proprio piacimento mentre i lavoratori non possono circolare liberamente?
– Come si fa a difendere i lavoratori quando la competitività pone a confronto diretto la produttività italiana con quella di paesi come Cina, Vietnam (comunisti!), India, Bangladesh, …. Turchia, Sud Africa, ecc. ….., dove il lavoratore ha stipendi pari a 1/10 di quelli italiani quando non è che poco più di uno schiavo?
– Come è possibile che l’ultimo grande patto sociale e gli ultimi contratti degni di questo nome risalgono al sindacato di Trentin del primo quinquennio degli anni 90?
– Come è possibile che negli ultimi 20 anni gli scioperi generali dei sindacati non hanno portato un solo risultato per i lavoratori?
– Perché non funzionano più le politiche distributive del novecento e aumenta, su tutto il pianeta Terra, la quota di ricchezza detenuta da pochi allargando a dismisura la forbice tra ricchi e poveri?
– Conoscete un paese al mondo che si è potuto tirar fuori dal WTO e ha aumentato la qualità della vita della propria popolazione?
– Com’è possibile che i meno abbienti votino Lega, Forza Italia, M5S e non SI, … o tutte le forme aggregative provate dalle sinistre negli ultimi anni?
– Come è possibile sostenere e incrementare la democrazia quando la struttura portante dell’economia è sempre più un potere assoluto piramidale?
– Come è possibile “discriminare l’informazione” e non essere sistematicamente disinformati quando noi stessi, spesso inconsapevolmente, veniamo usati come vettori di falsità?
– E’ ancora possibile costruire alterità che non siano solo variabili del consentito, ovvero interne alle compatibilità dell’attuale sistema?
– Come è possibile fare politica, organizzarsi, partecipare e contare realmente quando i poteri additati sono solo avatar dei poteri reali?

Qualche idea
Venuti meno i presupposti per essere “società”, liquefatte le forme di rappresentanza sociale e politica, le persone si percepiscono come isole che possono contare solo sulle proprie forze. Ma la percezione della centralità di sé non è solo negatività, e non è affatto una regressione, la centralità della persona può rappresentare il compimento di finalità poste dalla rivoluzione francese, ed anche il punto di approdo del comunismo. La persona, e non la famiglia, e non la massa, deve essere posta al centro delle iniziative politiche perché le fasi socialista e comunista sono state in parte realizzate e in parte rese superate dallo stesso conflitto capitale-lavoro, conflitto che ha avuto uno sbocco inaspettato laddove ha creato la condizione per la quale lo stesso conflitto non è più il motore del progresso. Al centro dell’iniziativa politica va messa la persona non in quanto individuo, numero, ma la persona che non ha più bisogno dello stato, del possesso dei mezzi di produzione, delle costrizioni esterne per essere cittadino, non ha più bisogno di confini etnici, di confini geografici, di qualsiasi appartenenza che crei confini non valicabili. Non puntiamo più sulla dialettica capitale-lavoro, classe operaia – capitalismo, non puntiamo più sulla conquista del potere, sull’abbattere uno stato per crearne un altro, puntiamo sul “tirarci fuori”, un “tirarci fuori”non come lo intesero le comunità hippy americane e neanche come lo intese l’Autonomia Operaia degli anni 70 italiani.
In poche parole è arrivato il tempo fertile dell’utopia anarchia nella sua accezione comunitaria, ovvero la regola dentro di se che porta all’autogoverno. Ciò che è la disciplinarizzazione prodotta dal potere globale, per tenerci ordinati dentro al proprio processo produttivo, può essere spostata fuori da questo potere, può essere non al servizio di un sistema produttivo e di potere ma essere a disposizione della creazione di Comunità Auto Governanti. E’ questa l’utopia possibile per il XXI secolo. Il punto di approdo non è il costituirsi come stato, il costituzionalizzare, il cristallizzare uno stato, ma il costituirsi come Potenza Costituente, in perenne Potenza Costituente. Solo questa concezione ci permette di spezzare la dialettica, di annullare la gabbia foucaultiana potere-resistenza-potere della resistenza-… Dovremmo concepire e sperimentare la creazione di comunità che non hanno in comune “una proprietà”, sia essa un bene materiale che immateriale, ma Comunità fondate solo sulla Potenza Costituente che non genera Potere Costituito; Comunità come fossero insiemi di IO in perenne stato costituente, IO che eliminano bipolarità dialettiche (la gabbia foucaultiana), dunque che generano NOI senza VOI. Se si parte da questa visione futura si mette in moto una creatività travolgente di idee e iniziative politiche inimmaginabili per gli ultimi quarant’anni di sinistra. Insomma spento un motore se ne può accendere un altro.

La prima di tutte le iniziative dovrebbe essere quella di riprendere in mano il filo, aperto e spezzato, delle visioni mondiali, ovvero pensare e agire per una politica del Pianeta Terra:
– Non ci dovranno più essere confini tra gli uomini, nessun tipo di confine invalicabile.
– Realizzare il diritto alla libera circolazione su tutto il Pianeta Terra.
– Ogni uomo, dovunque egli vedrà la luce, godrà gli stessi diritti su tutto il Pianeta Terra.
[Pur non partecipando alla Costituzione di un Governo Mondiale democraticamente eletto, un Governo Democratico direttamente eletto da tutti gli umani è auspicabile come fase intermedia dell’anarchia].
…..
La seconda, ma non in ordine di tempo né di priorità, è sperimentare localmente la creatività delle Comunità Qualunque, ovvero Comunità Potenza Costituente che sperimentano l’auto governo.
…..
La terza è definire giuridicamente il Bene Comune, superando sia la “proprietà privata” che la “proprietà pubblica”. Si tratta di creare un corpo giuridico costituente fondato sulle “relazioni in essere” e non sulla “proprietà”, qualcosa che è assolutamente inedito per la storia e preistoria umana.
……

Passando dalla grande utopia ai passi concretamente realizzabili, si possono individuare obiettivi perseguibili immediatamente nel mezzo, sul mezzo e per il mezzo che ci connette: dichiarare Google, Facebook, Twitter,…., Beni Comuni Patrimonio dell’Umanità e organizzare le lotte mondiali per ottenerlo. E questo non è un “es-proprio” ma semplicemente la cancellazione di un abuso e di un’ingiustizia: si tratta di sottrarre il Bene Comune creato comunemente dall’umanità dall’appropriazione indebita da parte di privati, è il rendere comune ciò che indebitamente è stato reso “proprietario e dunque privato”………
Queste solo come esempi per far intravedere di quale utopia si tratti, ma una cosa è certa: Se non saremo capaci di mettere in piedi proposte concrete locali che scaturiscono da visioni globali e che assumano contenuti e forme riproducibili, e per questo unificabili in forme organizzative mondiali, non ci sarà alcuna possibilità di ottenere risultati economici e politici a favore dei meno abbienti, né nel campo delle conquiste economiche, né nel campo dei diritti e delle libertà. Non sarà possibile più garantire in un solo paese, o soltanto in un gruppo di paesi, diritti da cui il resto del mondo rimane escluso. L’impotenza dei sindacati e delle forze politiche progressiste provenienti dal XX secolo è tutta qui. Ed è per questa visione “provinciale” e “corporativa” del progressismo, ahimè non solo italiano, che i leader ripetono tantra inefficaci che assicurano ormai solo la sopravvivenza del loro potere personale.

ps: mentre scrivo vedo le immagini dello spettacolo offerto dai cinesi al vertice del G20. È bellissimo, una bellezza mozzafiato che finora solo il comunismo marxista leninista statalista è stato in grado di realizzare. Ma il sogno non è lì, perché dietro quelle splendide performance ci sono violenze inaudite sulle donne e sugli uomini, l’utopia è realizzare quella bellezza unica con persone che partecipano per autodisciplina e libera scelta.

Frosinone, settembre 2016