Quei pantaloni erano di terital e di colore blu, la maglietta di cotone e sempre di colore blu, il terital andava fortissimo a quei tempi, non si stirava, non si gualciva, camice in terital, vestiti di terital, vestivamo di plastica, la plastica era moderna, l’Italia era all’avanguardia nel creare nuove molecole chimiche e le sue industrie vendevano in tutto il mondo la nuova meraviglia del progresso, e tutto quello che veniva dal progresso era bello e buono, tutto quello che c’era prima era da buttare. Anche le scarpe erano blu, plastica al posto della suola di cuoio e tessuto robusto per la tomaia che una volta era di pelle. Appesi al collo della maglietta gli occhiali da sole, ricostruendo il tempo e il luogo a scattare la foto doveva essere Fifino, e gli occhiali dovevano essere suoi. Lui veniva con le Rolleflex 6X6 a pozzetto del padre, scattavamo un rullino da 12 e via. Dietro è segnato settembre 68, a quei tempi pesavo cinquantadue chili e da lì a qualche giorno avrei messo gli occhiali da vista perché alla visita per la patente risultai essere astigmatico. Alla fine di quell’anno avrò la patente di guida e i miei compreranno una Fiat 500 usata, la mia prima automobile, l’unica di cui ho memorizzato la targa, ancora la ricordo NA-312197. Anch’io come le mie zie poso nel giardino, sullo sfondo piante che non riesco a distinguere, sotto i piedi la terra. Se davvero era settembre dovevo avere le mani callose perché d’estate lavoravo in campagna, ma dalla foto non si nota, si nota invece la sigaretta tra le dita della mano sinistra, e quella mano destra appena infilata nei pantaloni. Una è impegnata con la sigaretta, l’altra non so dove metterla, perché non in tasca?, a pensarci bene i giovani usavano tenere una mano lì, lo trovo un po’ allusivo, un gesto di virilità volgare, di quelle così frequenti nei giovani pasoliniani. Ora mi guardo e mi dico che potevo anche piacere, allora non lo pensavo.
Non ho alcun ricordo di cosa pensassi in quel momento, sicuramente c’era il desiderio di vedermi rappresentato, scoprirmi da fuori, ma dentro, cosa avevo dentro? In quel periodo non scrivevo più poesie, ero preso dalla musica, ero stato nei Blackstars, due anni di basso e chitarra, poi la bocciatura a scuola e l’abbandono del complesso, così si chiamavano i gruppi giovanili. Quell’anno ero stato promosso a giugno, avevo superato la crisi dei diciassette, quando non entravo a scuola e giravo per città e campagna alla ricerca di qualcosa che non trovai. Angela, la mia prima ragazza, in quella primavera era partita per il Venezuela, da lì a qualche mese mi sarei messo con Orsola, la prima ragazza di cui mi innamorai, lo ero già prima ma persi l’attimo giusto e lei si mise con un altro. A quei tempi aspettavo che fossero loro a manifestare interesse per me. Ci sono voluti un altro po’ di anni per manifestare i miei sentimenti, e dopo ancora tanti anni per viverli senza paura e fino in fondo. Tra fidanzati si scambiavano foto, però non ricordo di averne mai dato una mia, forse che nessuna me l’aveva chiesta? Di loro ne ho avute, ma alla fine della storia le rivolevano indietro, e ora se mi rimane una loro immagine è solo perché presente in una foto di gruppo. A pensarci bene non ci siamo mai fotografati insieme. Forse perché non si dovevano creare prove di quelle storie che dovevano rimanere segrete? E’ vero anche che fotografarsi non era ancora un uso quotidiano, capitava due tre volte l’anno, e sempre ché ci fosse l’occasione: un compleanno, un matrimonio, un battesimo, una prima comunione, una gita, al mare,…
Queste foto in posa però sono altro, c’era la chiara intenzione di volersi rappresentare. A ricordarmi bene in quel periodo cominciammo a fotografare anche altro, il paesaggio, i monumenti, sì, andavamo in giro, Fifino con la Rollefrex ed io con una Voigtländer 35 mm.
C’è un’altra foto scattata lo stesso giorno e nello stesso giardino, sono appoggiato a un pruno, ricordo anche quale fosse, produceva prugne nere, piccole come ciliegie, dolcissime, sullo sfondo si vedono le file di pomodori e un altro albero di prugne, più piccolo, le chiamavamo le francesi, grandi ma meno dolci delle altre. Ho messo gli occhiali e il braccio intorno all’albero tiene la sigaretta pronta per essere aspirata, ha cambiato mano, ora è nella destra, la sinistra è appoggiata al fianco. Ora che guardo bene ho un anello all’anulare destro, un anello? Si è proprio un anello, ma io non ne ho mai avuto uno, né ricordo di averne mai portato uno. Sono pose, mi ero messo in posa, anche l’anello doveva essere di Fifino, lui ne portava. Forse anche le pose le proponeva lui.