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img_9663Nel giardino c’erano diversi alberi da frutta, il più grande era un pero, era anche il più difficile da salire a mani nude. Non erano granché quelle pere ma salire su quell’albero era una prova impegnativa, una sfida tra me e i miei amici di infanzia. Non lontano c’era un pruno, le gocce d’oro, noi le chiamavamo milizia. Quest’albero è presente in molte foto, la più antica data 1940, c’è nonno Antonio in primo piano, è seduto su una seggiola con la gamba destra accavallata sulla sinistra. Cappello nero in testa, baffi alla Vanzetti, camicia bianca, cravatta nera, panciotto dello stesso colore dei pantaloni, la giacca è chiara. Dietro di lui, seminascosto dietro al pruno, c’è Antonio Menditti che doveva avere tre o quattro anni. Nonno Antonio di anni ne aveva 60. L’erba è tenera e non troppo alta, il pruno è giovane e ha le foglie non ancora completamente cresciute, sullo sfondo si notano i noci che sono ancora abbastanza spogli, deve essere l’inizio di aprile. Il panno dei pantaloni è quello pesante e le scarpe hanno suola spessa.
La tasca destra della giacca appare gonfia, forse c’è la pipa e il sacchetto del tabacco. Antonio Menditti ha una vistosa fasciatura al ginocchio sinistro. La figura di mio nonno è elegante e forte allo stesso tempo, lo dicono quelle gambe accavallate, la mano destra sul ginocchio, il cappello portato con nonchalance, un leggero abbassamento della spalla sinistra rispetto alla destra, lo sguardo dentro l’obiettivo, mio nonno è, io sono io, sembra dirci nella foto. Chi la scatta? E tutte le altre?, perché sono decine e decine le foto dal 39 al 45. Manca mio padre che era stato richiamato e si trovava al fronte; però lui alla fine del 43 era tornato a casa, eppure continua a non apparire nelle foto del periodo, solo le sorelle, da sole, a coppie, tutte insieme, con le cugine, con le amiche. La presenza di Antonio Menditti a San Vitaliano  è dovuta al fatto che Pasquale, il padre, era soldato sul fronte africano, dopo sarà prigioniero in Inghilterra fino al 1945. Carmela, la moglie, durante questo periodo, evidentemente,viene aiutata dalla famiglia paterna.

img_9671Sotto lo stesso albero Concetta in piedi e di profilo, sta porgendo un fiore, una rosa?, lo porge a una donna seduta sulla stessa seggiola. Probabilmente lei è una cugina, o una cara amica. La foto non ha una data ma dovrebbe essere stata scattata assieme all’altra di nonno Antonio. L’erba ha la stessa altezza, il pruno ha le stesse dimensioni, perfino lo stesso fogliame, e anche i noci in fondo sono nelle stesse condizioni.
Anche la donna ha le gambe accavallate, ma è la sinistra che va sulla destra, con una certa fatica. Margherita indossa calze nere e spesse, la donna le porta chiare e semitrasparenti, quella di sinistra non è tesa, si notano le onde che scendono verso la caviglia.

 

img_9665L’ultima foto in cui appare il pruno è del 1963. Il pruno ha le dimensioni dei miei ricordi, qualche anno dopo sarà tagliato. Sotto il pruno questa volta ci sono Sabatino e Raffaella, sua figlia. Le foto del 40 mostrano un giardino non coltivato, il terreno è coperto da erba non seminata, in questa invece in primo piano si notano agli o cipolle, il resto del terreno è zappato e pronto per altri ortaggi; lungo la siepe di filo spinato ci sono piante di carciofo, dietro è sorta una casa con un muro di cinta che la separa dal terreno. E’ la casa di Rosetta e Sebastiano, sono arrivati da poco nel vicolo. Mio zio ha la sigaretta tra le dita della mano destra, porta una maglia scura e guarda verso la macchina fotografica. Tiene con la mano sinistra Raffaella che rimane di profilo. E’ molto probabile che sia io a scattare quella foto. A quei tempi zio Sabatino aveva una Ferrania e spesso mi chiamava a scattare foto alla famiglia, soprattutto ai compleanni di Raffaella e Antonio

Su quel pruno ci salivo anche con gli amici, una volta su cantavamo una canzone, forse inventata da noi, “la freschezza di Luigino, la freschezza di Mariannina, …”. Non ricordo altro, forse non c’era altro, forse ripetevamo quella tiritera alla freschezza della chioma dell’albero, era gioco, gioia innocente, stupida semplicità.
Salire su quell’albero, ancor più che salire sul grande fico dell’ingresso, per noi era trasferirci in un altro mondo, il nostro mondo.