Il pantalone corto, una sola bretella, dietro parte da destra e davanti con un bottone si attacca a sinistra, i piedi bianchi di povere e induriti dalle pietre della strada, la maglia che era stata rossa ha buchi sotto le ascelle, i capelli lisci scendono sulla fronte, le mani dietro fanno d’appoggio contro il muro, il fratello piccolo è seduto a terra, tricchia sassolini, il mocciolo scende e lui tira su.
Paolino e Felice aspettano la sera, il ritorno dai campi e la madre in cucina. Sono assorbiti dai bisogni vitali elementari, fame-cibo, sete-bere, gioco -palline e tappi a corona, gelato, giocattolo, ma solo se li vedono in mano ad altri. Se questi sono più forti li chiedono, se sono più deboli li strappano.
A mezzo giorno hanno sentito come ogni giorno l’odore del cucinato della vicina, carne arrostita sulla fornacella, loro hanno mangiato pane con olio e zucchero.
La madre è bracciante, e questo è tempo di guadagnare le giornate per passare l’inverno, che è senza lavoro ma con più fame dell’estate.
Però da quando hanno messo la refezione a scuola è meglio l’inverno, a mezzogiorno si mangia un piatto caldo, dopo pane e companatico, formaggio arancione, quello americano, o mortadella, e per finire una mela.
Questo invece è il periodo peggiore, la scuola è finita e nei campi non ancora ci sono frutti da mangiare, tocca aspettare il cielo scuro della sera, quando le bici, i carri e i motorini riempiono le strade.
Tra un po’ di giorni l’estate porterà prugne, albicocche, pesche, pere, pomodori, cetrioli, uva rosa, fichi, meloni, cocomeri.
Tra un po’ di giorni i tempi arrivano, Paolino girerà nella controra, controllerà che i contadini siano andati a casa a mangiare e riposare, lui entrerà nel campo e prenderà quello che c’è, ne mangerà, ne infilerà sotto la maglia per portarlo a casa.
Conosce tutti i campi intorno al paese, quando ci va sa cosa troverà, conosce anche i giardini, ma questi hanno sempre alti muri di cinta, spesso dentro c’è un cane, e magari anche il padrone.
Qualche volta lo hanno preso, c’è stato chi lo ha lasciato andare, chi gli ha fatto posare quello che aveva sotto la maglia, chi lo ha picchiato.
Il pane te lo devi guadagnare! Qualche calcio, qualche schiaffo, orecchie schiacciate da dita rabbiose, capelli strascinati.
La vita con rabbia, scuola, amici, strada, genitori, tutto filtrato dallo sguardo traverso, testa bassa, butta l’anima in tutte le liti, le prende ma si rialza sempre, mai piange, né si lamenta, non traspare sofferenza per il suo fisico pestato, neppure per l’orgoglio ferito. Le liti finiscono per abbandono del vincitore, perché battuto è pronto a ricominciare, alla fine si stancano di menargli, mai lui a prenderle.
Aspettate che cresco e vi faccio vedere.
E’ l’unica cosa che si può leggere nei suoi occhi, non discute né chiede, asserisce o nega.
Quel giorno al campo non lo hanno scelto per giocare.
Perché io no?
No, tu non hai messo i soldi.
Se il pallone viene dalle parti mie vi faccio vedere.
Non lo devi toccare
E io lo schiatto
E noi ti facciamo un culo così
Vi faccio vedere se non lo schiatto, non mi fate giocare, adesso vediamo, appena esce fuori lo prendo.
Inizia il gioco e Paolino corre avanti e indietro lungo la linea del fallo laterale, i ragazzi che giocano stanno attenti a non far andare fuori il pallone, ma poi accade, Paolino lo abbranca e scappa, tutti dietro, corre e guarda per terra, cerca un pezzo di vetro, lo trova, lo afferra a volo.
Mi fate giocare si o no?
Tiene il pezzo di vetro premuto contro la plastica del pallone
Se lo schiatti te la facciamo pagare cara
Mi fate giocare si o no?
Ma che credi di ricattarci, schiattalo, avanti schiattalo.
Mi fare giocare si o no?
Paolino preme più forte, la plastica cede, si apre uno squarcio, il pallone si sgonfia, ne è sorpreso, lo lancia lontano e scappa.
Gli sono addosso, ognuno prende in consegna una parte, ognuno si dà da fare con i suoi colpi.
Non reagisce, sa che così potrà prenderne meno, si stancheranno, si fermeranno a menare.
E così succede, rimane a terra, apre leggermente un occhio per capire quando si può alzare.
Franco lo vede.
Lo fa a posta, ci fa fessi. Gli salta addosso e prende a sferrare pugni, altri lo seguono.
Toglietevi, fermatevi, so io cosa fare. Toglietevi, e tira via alcuni compagni.
Si alzano tutti, Paolino rimane ammassato nella polvere.
Pasquale, tira fuori l’affare e gli piscia addosso.
Paolino schizza via, si alza di botto e scappa
Lo inseguono, lo afferrano
Teniamolo fermo e pisciamogli addosso tutti quanti.
Un coro di si.
Lo tengono e si susseguono nelle minzioni, mirano alla faccia, si allungano sulle altre parti del corpo.
Guardate, sta piangendo. Paolino sta piangendo
Ma che! Sono gocce di pisciazza, lui non piange mai
Si sbatte con forza, scalcia, inarca le reni.
Impastiamolo, impastiamolo
Prendono la polvere e lo infarinano, i panni, la faccia, il collo.
Lui urla, con tutto il fiato che ha, gli lanciano manciate di polvere in bocca, tossisce, sputa, vomita,
con una torsione del collo riesce ad azzannare il braccio di Peppe che lo regge, con tutta la disperazione, ora è Peppe che urla, gli afferra i capelli con l’altra mano, urla, tira, gli altri mollano il corpo e si dedicano al collo e alla testa di Paolino, lui si avvinghia intorno alla bocca che ammorza
il braccio di Peppe.
Lascia, lascialo, fermati.
Peppe continua ad urlare
Paolino non lo molla. Franco prende una pietra e batte alla testa, batte, batte, Paolino si affloscia con la bocca spalancata e sanguinante, dentro il morso strappato dal braccio di Peppe.
Peppe libero corre per la strada tenendosi il braccio, gli altri lo seguono.
Paolino resta là, nel suo impasto di piscio, sangue e terra.
Hanno chiamato la madre, le hanno raccontato, lei prende la bici, va dal figlio, lo prende tra le braccia, lo carica nella sporta sul portabagagli posteriore, non riesce a rimontare sulla bici, cammina portandola per il manubrio, brevi svelti passi per deporre il fardello, gocce nere segnano la polvere calcinata della strada, le persone guardano sfilare la madre e il figlio, lo sta portando alla sepoltura? a casa per organizzare le esequie?
Lei si ferma ad un palo della luce, tira fuori il figlio dalla sporta, lo depone sul ciglio della strada, si siede a fianco, tutta la stanchezza del mondo le è caduta addosso, passano le ore, un gruppo di persone sosta in cerchio sotto la luce del lampione, i paesani vogliono portala a casa, lei rifiuta con una fermezza che impedisce di agire, tanto, lui è morto e anche lei non è più tanto viva.