Negli ultimi anni da contadino mio padre per i lavori dei campi utilizzò cavalli al posto delle mucche. Erano meno impegnativi, non si dovevano mungere mattino e sera, erano più veloci, e poi molte necessità erano risolte con l’affitto di macchine agricole. La foto ritrae Antonio, mio cugino, che cavalca una giumenta, era piccola ma forte e tenace. Ricordo che una volta quella giumenta diede un morso a mia madre, sul seno, e lei dovette subire un’intervento chirurgico per asportare una nodulo che si era formato nell’area del morso. Mio padre disse che lo aveva fatto perché in quel periodo aveva un cavallino.
Ricordo ancora che una mattina trovai mio padre nella stalla che aveva la testa della cavalla morente tra le braccia, piangeva, alzò la testa e disse: “e ora come faccio?”.
Fu l’unica volta che l’ho visto piangere, sembrava perso, lo sentii fragile, avrei voluto abbracciarlo ma non usavamo farlo e il solo pensarlo mi creò imbarazzo. Non lo feci mai, dico un abbraccio vero, quello dato per trasmette affetto, calore. Neanche quando lo assistevo nel mese di dicembre e gennaio prima che morisse. Lo guardavo dalla poltrona verde vicino la porta finestra della camera, in silenzio io, in silenzio lui. Sapeva che stava per morire?, di certo lo sospettava, ma nessuno di noi ne parlò mai, la morte era presente e nell’attesa ignorata. In un’altra stanza mia madre era a letto con la bronchite asmatica e mia sorella stava per partorire, Valentina nascerà il 26 dicembre. In quei giorni mi tormentavo perché avrei voluto squarciare quel velo che ci impediva la comunicazione degli affetti. Avevo da dirgli che da qualche anno, proprio dalla morte della cavalla, in me l’astio era svanito, che gli atteggiamenti che criticavo li vedevo ormai sott’altra luce, che avevo scoperto in me tanto di lui e ne ero fiero, volevo raccontargli come la rabbia che gli mostravo era solo un passaggio per la mia crescita e autonomia e che da questa scoperta la rabbia si era trasformata in bene, rispetto e affetto. Non lo feci perché mi maceravo con domande del tipo: ne parlo e recupero il rapporto con lui ma poi rendo esplicito che sta per morire, oppure rinuncio all’egoismo di risolvere il mio problema e tutelo il suo non volere conferme della morte imminente? Rimasi con questo tormento irrisolto fino alla fine, così, senza scegliere, di fatto scelsi il silenzio.