I Beatles cantavano Yesterday, Othis Redding Shake, Jimi Hendrix Purple Haze, i Who My Generation e Patty Pravo Ragazzo Triste.
Era il tempo dell’autostop verso Napoli, il cinema la mattina, le dieci lire chieste ai passanti per panino e film all’Astra di via Mezzocannone, e ancora in autostop al mare, a Mergellina, i tuffi dagli scogli, gli slip di cotone che si allungavano all’uscita dall’acqua e le bolle come prugne che non capivamo, “ macchie di sole “ dicevano. Il ritorno era sempre pesante e buio, come la tonaca del prete, come il lavoro dei campi, come gli occhi dei paesani, come il selciato delle strade.
I bar avevano i juke-box per la musica e un televisore su una mensola in alto. I dischi nei juke-box, due canzoni 50 lire, variavano a secondo dei bar, ma i primi posti della Hit Parade non mancavano mai. Abbondava in quel periodo il soul e il rhytm&blues: Wilson Pickett, Percy Sledge, Othis Redding, Joe Tex, James Brown. Non mancavano i Beatles e i Rolling Stones, era prima del 68, precisamente la primavera del 1966. Era il tempo dei gruppi nati dopo i Beatles e i Rolling Stones, quelli che in Italia si chiamavano “i complessi”, tipo: I Corvi, Equipe 84, Rokes, New Dada, Giganti, Formula Tre, Ribelli, New Trolls, e tanti altri che imitavano questi o quelli.
Umberto era biondo biondo e anche molto carino, il tipo che piaceva subito alle ragazze che si incontravano nelle feste, infatti le ragazze non gli mancavano mai; voleva fare il cantante anche se, a detta del suo compagno di scuola Nino, era un po’ stonato. In quella primavera ci incontravamo in una cameretta dove Umberto aveva una radio, un registratore Lesa a bobine e una chitarra acustica Eco. Qui ascoltavamo Bandiera Gialla, trasmissione di Arbore e Boncompagni, qui nacque l’idea di formare un complesso.
Potremmo fare così, propose Nino, io suono la chitarra ritmica e canto, Umberto suona la chitarra e, se impara, canta, Ludovico la chitarra solista, Antonio il basso e tiene la bocca chiusa, Franco la batteria e canta.
Nino si presentò subito come leader, aveva qualche anno più di noi e conosceva un po’ di musica.
Franco portava il ritmo su delle scatole di Dash, allora cilindriche e molto robuste, secondo me era il più dotato di tutti, ottimo orecchio, capacità di prendere e tenere la tonalità, voce gradevole, ottimo senso del ritmo, apprendeva con facilità.
Trovò una piccola batteria usata, cassa, rullante, charleston, un piatto e un tum, quindicimila lire, cominciò subito a esercitarsi, lo faceva a casa sua. Apprese a suonare il 2/4, il 3/4 e il 4/4; si esercitava a fare le scariche, a swingare, e poi beguine, samba, mambo, assoli presi dai batteristi pop e rock. Cercava di rendere docili le mani per i rulli e resistenti le gambe per sostenere la cassa. Ci trasferimmo a casa mia, la stanza di Umberto non era sufficientemente grande; pomeriggio e sera a provare, per ora solo con una batteria e una chitarra acustica su cui a turno ci esercitavamo a prendere gli accordi. Fu come una febbre, bruciavamo, correvamo con i sogni, ma anche con le azioni, per esempio asfissiare i nostri genitori per convincerli a comprare gli strumenti; a pensarci oggi era una cosa pazzesca: comprare strumenti ognuno dei quali costava quanto due stipendi di allora! E non perché frequentavamo un conservatorio, una scuola musicale, o avevamo intenzione di farlo, no, per fare un complesso, ragazzi che erano prossimi allo zero musicale! Ma erano gli anni 60, era tempo di euforie, Italia esagerata fino al ridicolo, però quanto creava!, il periodo migliore di tutto il nostro 900. Niente era impossibile, anche per dei ragazzi che partivano così sprovveduti.
Cosicché si andò a Napoli, nei pressi del Conservatorio, in una traversa di San Biagio dei Librai, non ricordo più quale fosse, un vicolo pieno di negozi di strumenti musicali. Nino prese una dodici corde cassa acustica e due pick-up per l’amplificazione, io un basso imitazione dello strumento di Paul McCartney, Ludovico una chitarra elettrica tipo Fender a tre pick-up, Umberto una chitarra elettrica tipo Gibson.
Comprammo le partiture delle canzoni da provare, comprammo il primo amplificatore e ci attaccammo i quattro strumenti elettrici, poi arrivò anche un microfono, naturalmente i suoni uscivano confusi, ma intanto si cominciava.
Fin dalle prime prove Nino e Umberto si scontrarono, un conflitto di leadership che si trasformò in conflitto sui generi musicali.
– Ho preso due partiture dei Nomadi, “Dio è Morto” e “Come Potete Giudicare”, disse Nino.
– Ma chi li conosce a questi?, rispose Umberto.
– Non ci sto a fare canzoni sdolcinate solo perché piacciono a quelle quattro sciacquette. Dobbiamo suonare cose nuove, “Come Potete Giudicare “” e “Dio è Morto” sono veramente nuove.
– Ma sono difficili da cantare, sono brutte musicalmente.
– Le canto io, disse Nino. Adesso ve le faccio ascoltare, il tempo è 2/4.
Nino cominciò con “Come Potete Giudicare” tenendo un ritmo forsennato sulla sua 12 corde, la cantava in una tonalità molto alta, la voce usciva stridula, acida, fastidiosa.
– E questa me la chiami musica? Sai i fischi! E poi la tonalità è troppo alta, abbassiamola così non sforzi la voce.
– Non capisci niente, deve proprio essere così! La voce deve dare fastidio, noi stiamo gridando, è un canto gridato, siamo incazzati e gridiamo a chi non ci vuole ascoltare.
– Va be’, allora tu canti le tue canzoni e io le mie. Adesso proviamo Bandiera Gialla. Umberto cominciò a cantare la canzone di Gianni Pettenati, non teneva la tonalità, più volte si ricominciò.
– Se vuoi cantare devi provare a casa, ci fai perdere solo tempo! E poi la tua voce dovrebbe essere più sostenuta! è troppo sdolcinata, sembra che hai la fava in bocca, ci devi mettere più tensione, più forza!
– Non fare il maestro! Io canto così, cos’è? Tu puoi cantare come vuoi e io no?
– Ma io non stono, e poi cali sempre alla fine della frase musicale.
Ogni volta così, poi quando toccava a Ludovico, chitarra solista in un pezzo di Santo &Jonny, Mare incantato, e in Apaches dei Shadows, Nino si infuriava e trattava male anche lui. I conflitti non si sanarono, Umberto andò via, il discorso di Nino aveva il suo fascino su di noi ma quella voce isterica, la sua radicalità non la capivamo fino in fondo, e lui sapeva essere anche molto antipatico. Non scherzava mai, non provava a fare improvvisazioni “pensate ad imparare a suonare”, “fate solo casino” diceva quando noi altri, alla fine delle prove, ci lasciavamo andare in suoni sfogo liberatorio-imitativo.
Dopo le prime prove a casa mia, ci trasferimmo nella cantina di Nino, infine, dopo la sfida, affittammo un locale, uno stanzone a 5000 lire al mese in via Cittadella, sotto c’era un negozio e intorno le abitazioni erano un po’ distanti, così non si dava fastidio a nessuno.
Miglioravamo, molto lentamente ma i progressi erano evidenti, Franco e Ludovico chiesero di cantare delle canzoni meno impegnate, proposero pezzi dell’Equipe 84, dei Rokes, dei Giganti, dei Corvi e persino un pezzo di Adriano Celentano, Mondo in Mi7, un pezzo furbo a cui Nino non poté dire di no perché era un pezzo di denuncia, e in più funzionava, facile, un solo accordo, Mi7 appunto. Nino lasciò fare ma chiese a Ludovico di rinunciare alla solista.
Così la chitarra solista fu proposta a me, accettai, ci scambiammo gli strumenti. Non credevo ad un futuro da musicista, non pensavo al successo, mi bastava stare su un palco, essere visto, essere apprezzato, conquistare la ragazza che mi piaceva era il massimo del successo che mi aspettavo dalla musica. Tra l’altro in musica ero disarmato, i maestri di musica scolastica che mi azzittirono, invece di darmi gli strumenti per correggermi, avevano fatto di me un maleducato. Da maleducato musicale mi dannavo sulla chitarra tutti i giorni, non ero in grado di accordarla, me la cavavo meglio con i tempi: dividere le note, contare, mantenere una durata di riferimento non era un problema, ma l’armonia e la melodia… più tardi ho saputo e ho sperimentato che essere stonato è solo cattiva educazione musicale e che si può apprendere.
I nostri capelli si allungavano, non li tagliavamo da diversi mesi, per strada, fuori ai bar ci dicevano: mi sembrate zingari, …’e femminielli! Oppure, che vuoi fare Gesucristo? Ecco i capelloni, anzi, i cappelloni! Franco li aveva ricci e biondi, i boccoli scendevano sul collo, lui continuava a portare il pettinino, adesso li pettinava più di prima, andavano di moda i capelli lisci, allora lui li stirava, e stirava in continuazione, ma quelli ostinatamente si arricciavano; Ludovico e Nino li avevano lisci e neri e rimanevano sempre ordinati qualsiasi movimento facessero; Umberto biondi e lisci, scendevano sul collo, e sulla faccia in morbida onda. I miei capelli castani scendevano ondulati, ribelli e ostinati; erano anche grassi e dovevo lavarli in continuazione.
Suonammo in alcune feste da ballo auto organizzate, ma il primo vero appuntamento pubblico fu la sfida del febbraio del 1967, la sfida tra “The Black Stars“, ci chiamavamo così, e il gruppo di Umberto; si perché Umberto non era rimasto con le mani in mano, aveva cercato e trovato un complesso. Propose a Nino una sfida tra il nostro e il suo, insomma fummo coinvolti in una sorte di regolamento di conti tra i due che avevano avuto ambizione di leadership.
A dire il vero pensavamo che fosse una bufala ma poi ci accorgemmo che Umberto si era messo con un complesso di Nola che suonava da anni, che faceva musica facile e di successo, ma che suonava molto bene: “I Tuoni”. Rispetto a noi avevano un organo Hammond che armonizzava, addolciva le due chitarre, creava sonorità che andavano molto di moda. Non so con quali argomenti Umberto avesse convinto questo complesso, non avevano bisogno di lui, avevano già una voce, non avevano bisogno di chitarre, ne avevano già due e Umberto, come del resto tutte le Black Stars, potevano solo andare a pulire le scarpe a quei “Tuoni”.
Quando sapemmo con chi dovevamo sostenere la sfida avremmo volentieri rinunciato ma non si poteva perdere la faccia. Fu combinata una serata nel teatrino delle suore, era una sala con un piccolo palco dove ogni tanto si tenevano rappresentazioni di bambini, qualche volta anche di adulti; poteva contenere un centinaio di persone, forse in piedi anche 200. Fu concordato il numero di canzoni e anche l’ordine di entrata, prima noi e poi Umberto e i Tuoni.
Non eravamo pronti a sostenere quello scontro, avevamo bisogno di un anno di lavoro ancora, altro che un mese, e poi non avevamo amplificazione e microfoni adatti, anzi, non avevamo mai suonato con un’amplificazione completa. Era però anche una grande occasione di suonare davanti a un pubblico numeroso, farci conoscere dai giovani, e soprattutto dalle ragazze.
Trasferimmo gli strumenti nella cantina di Nino, lì ogni sera si provava, si litigava, si facevano piani.
Ludovico e Franco insistevano sulla scelta di pezzi orecchiabili e di successo per catturare le simpatie dei coetanei, si arrivò a un compromesso. Ludovico, passato definitivamente al basso, si costruì una performance forte con “Il Mondo in Mi7”, durava molto di più delle canzoni del tempo, 6-8 minuti a secondo della durata di un parlato libero al centro della canzone. E’ qui che lui dava il massimo di se: si muoveva molto in tutte le direzioni, una novità spiazzante rispetto alla rigidità dietro ai microfoni dei “fronte pubblico” italiani del tempo. E poi si prendeva delle pause, creava suspense, dilatava oppure accelerava, ci costringeva a seguirlo nelle sue bizzarrie, negli stati umorali; in base a questi modificava le parole, aggiungeva predicozzi personali, insomma anticipò quello che il Celentano telepredicatore avrebbe fatto molti anni dopo. Decise che questo pezzo lo avrebbe suonato con un cappello in testa e che avrebbe detto qualcosa anche su Umberto e il suo gruppo. Era l’unico ad agire visceralmente, mi colpiva la rapidità con cui passava dal pensiero all’azione, per lui non esisteva discussione, riflessione, confronto, era come i personaggi dei film western che andava tutti i giorni a vedere, per lui tutto era bianco o nero, era o non era.
C’era poi un pezzo molto difficile per il canto, “ Una Ragazza in Due”, dei Giganti. Aveva un attacco in LA o SI, non ricordo bene, una nota molto alta che Ludovico prendeva una volta si e una volta no; poi c’era “Summertime”, una versione blues su partitura originale di Gershwin, una tonalità anche questa molto improba! Dopo veniva “Voglio girare il mondo” anonima canzone senza storia, ma semplice da eseguire, seguivano i due pezzi storici dei Nomadi, poi venivano due strumentali con chitarra solista, infine “Painted Black” e “Con le Mie Lacrime” degli Stones. Non ricordo come e perché, e neanche se è un ricordo fondato, ma mi pare che poi non eseguimmo tutti questi pezzi.
Venne il giorno della grande sfida, andammo a sistemare gli strumenti, “I Tuoni” avevano amplificatori potenti per ogni strumento, più la camera eco con sei microfoni, due anche per amplificare la batteria, si decise di montare i loro e di suonare tutti con quelli, ci chiesero di fissare i tempi del sound check, prima loro e poi noi. Salirono, sistemarono i suoni e cominciarono, erano molto bravi, un sound educato e pulito. Salì anche Umberto che provò mezza canzone e disse che andava tutto bene. Toccava a noi, furono gentili, ci spiegarono come usare la strumentazione, come regolare i suoni e soprattutto la camera eco. Si misero giù in sala, da lì ci indicavano di abbassare o alzare il volume dello strumento, infine ci proposero di fare un pezzo per sentire l’insieme, compreso le voci.
– Provammo con “ Voglio girare il mondo”, questa cominciava con un arpeggio della solista in RE+, quarta e settima, non difficile. Attaccai
– La solista si sente poco e poi mi sa che hai il Mi cantino scordato, disse uno di loro.
Nino mi aiutò a intonarlo, che da solo non ci sarei mai riuscito.
– Vogliamo provare anche uno dei pezzi suonati?
Si fece, sbagliai due note e attaccai una volta fuori tempo.
– Che ve ne pare? Disse Nino una volta giù dal palco.
– Non male, rispose la chitarra solista dei Tuoni, Umberto era andato via.
Andammo a casa, nel tragitto incontrammo Palmina, ci disse che i parenti di Umberto stavano preparando i fiori e che anche noi dovevamo avere un mazzo di fiori.
Quando ritornai in sala questa era già piena, molta gente stava in piedi, erano divisi, da una parte i nostri amici, dall’altra quelli di Umberto. Salimmo a provare gli strumenti, i volumi scelti la mattina erano completamente insufficienti con la sala piena e rumorosa, dovevamo aumentare senza poterli armonizzare. Nino andò giù a sentire qualcosa, ritornò per darci delle indicazioni di massima, decidemmo di aumentare dello stesso numero di tacche tutti gli amplificatori.
Ci fu una presentazione che non sentii e si aprì il sipario. Urla delle ragazze rimbombarono, ricordo di aver visto in fondo alla sala il parroco e perfino il sindaco.
Attaccammo con “Voglio girare il mondo”, semplice e carina, andò bene, c’erano urla e gridolini neanche fossimo i Beatles. Non ci ascoltavano, tifavano. Va bene così, pensavo, gli errori si sentono meno. Ci prese la smania di correre, di fare presto, come volessimo scendere da quel palco il più presto possibile. Non ricordo se sbagliai, non me ne resi conto, riuscivamo a sentirci solo a tratti, anche perché sul palco non c’erano spie. Della serata mi rimasero il passaggio nella sala per salire sul palco, gli urli delle ragazze, le mani sudate, i fiori alla fine dell’esibizione. Indossavo un vestito scuro, camicia bianca e cravatta scura, un po’ moods, portavo la riga a sinistra e un’onda sulla fronte, pesavo 52 chili e la chitarra l’impugnavo come i destri mentre ero un mancino naturale.
Avevamo cambiato la scaletta, finimmo con “Mondo in Mi7”. Ludovico attaccò male ma si riprese benissimo, fu spettacolo, l’unica cosa veramente nuova, perché non imitazione di altri, c’era del vero in quelle rappresentazioni, si realizzava nell’improvvisazione che legava chi stava sul palco con chi stava in sala. Nel predicozzo provocò Umberto e il suo gruppo, provocò la sala, divenne un idolo locale, per la simpatia e per l’audacia.
L’altro gruppo suonava molto bene, i pezzi erano ben arrangiati e orecchiabili, ma le ragazze urlarono solo per le canzoni cantate da Umberto, anche lui stonò un paio di volte, ma chi ci ascoltava davvero? I Tuoni furono vissuti come degli estranei, non erano del paese e dunque non ebbero i riconoscimenti che meritavano, e poi alla maggioranza dei presenti non importava tanto della musica. Allora non era chiaro cosa ci stesse accadendo, oggi si, i nostri destini erano segnati, neanche due anni e saremmo passati dalla canzone di protesta alla protesta politica per le strade sessantottine. Umberto non vi partecipò, non gli apparteneva.
Alla fine di tutto rimase “Mondo in Mi7” di Ludovico e “La Bambolina che fa no no no”, canzone cantata da Umberto. Un pezzo aggraziato, con coretti sempre presenti, proprio adatto a Umberto che preferiva la grazia alla protesta, lui ciondolava con i suoi capelli biondi, come una bambolina, forse fu per questo che da allora gli rimase il nome “bambolina”. Grande Umberto, ti ricordo con affetto e un nodo alla gola.