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10 ottobre 1945, è scritto dietro la foto. Di chi è il vestito da sposa? Orsola, che tutti chiamano Bionda, ha vent’anni, è una sognatrice di rigidi principi, ama eleganza e buone maniere. Ha perso la madre dieci anni prima, è cresciuta con tre sorelle e un fratello, tutti più grandi di lei. Questa è una delle tante foto all’aperto di quel periodo, non possono fotografare in casa, troppa poca luce, e forse la casa non è tanto bella, dunque meglio l’ambiente esterno.
Qui è seduta sul muretto del fosso, pietre di tufo sgretolate dal tempo all’ombra di grandi noci. Sorride, non un sorriso felice, piuttosto sospeso, calato all’amaro come può capitare quando devi tenerlo per lungo tempo in attesa dello scatto della foto. Immagino che il fotografo ha dovuto mettere a fuoco, magari la macchina fotografica era a telemetro con lo sdoppiamento dell’immagine che per arrivare un buon allineamento ci mettevi tanto tempo ed eri sempre indeciso, soprattutto se la tua vista aveva qualche problema.
Orsola sposerà solo venti anni dopo, ma forse con la fantasia lo aveva fatto già tante volte e questa una di quelle. Oltre il muretto c’è la siepe del fosso, dietro il granturco, secco, in fondo al campo c’era poi un noceto. Aveva appreso a cucire, ricamo, taglio e cucito, alla macchina a pedali dava con la mano un colpo alla ruota per avviarla, poi dava di gambe e di canto.
Si fidanzerà con un marinaio, della marina militare, uno che non le permetteva di uscire di casa, a meno che non fosse accompagnato dalla di sua sorella. Questa donna andava a prendere Bionda a casa sua, insieme passeggiavano, dopo la riaccompagnava a casa. Esasperata lo lasciò, traumatizzata dall’esperienza per un po’ di anni rifiutò tutti quelli che si proponevano. Ci fu un periodo che non stava bene, aveva spesso febbre, fu ricoverata al Policlinico di Napoli per accertamenti. Una volta mio padre mi portò a trovarla ma io non potei entrare, avevo l’età da scuola elementare dovevano essere gli anni cinquanta, mi lasciò su una panchima del giardino, dopo un po’ di tempo ritornò con lei e rimanemmo a parlare seduti sotto le alte palme della clinica universitaria.
Spesso ci portava, me e mia sorella, a casa di qualche signora, non ricordo se sue amiche o clienti a cui doveva consegnare qualcosa; dovevamo essere impeccabili per questo ci istruiva prima di entrare: salutate quando entriamo e quando usciamo, se vi offrono qualcosa rispondente sempre no grazie, non parlate se non ve lo chiedono, state seduti e non vi muovete. Se qualche nostro comportamento non era secondo il suo galateo mi arrivavano pizzicotti sulle braccia e sulle gambe, li dava in modo da non farsi vedere dagli ospiti.Dopo il matrimonio di Margherita si trasferì a Firenze, da Concetta, Titina, lì conobbe un bel giovane fatto proprio per lei, un sergente dell’esercito, un trevigiano dai modi gentili e dalla dolce cadenza veneta. Ma il sergente fu trasferito lontano, nella nuova sede ingravidò una ragazza e la dovette sposare. Lei se ne ammalò, invitata da una cugina, sua amica di infanzia, partì per New York in cerca di guarigione. Lavorò in una sartoria industriale di Manhattan. Qui si proposero diversi uomini, incappò in un altro geloso, uno che la spiava, si nascondeva nei pressi della sua abitazione e quando usciva la pedinava. Bionda chiuse la storia e lui passò alle minacce, intervennero i cugini sparsi tra New York e Hoboken. Il molestatore la lasciò stare solo quando i cugini minacciarono di far intervenire la mafia.
Tempo dopo sul lavoro un collega l’avvicinò per proporgli di conoscere suo fratello. Lei in un primo momento non ne voleva sapere convinta com’era che gli uomini erano solo problemi. Ma Paolo non mollò e lei accettò di incontrare Vincent, un uomo nato a Brooklyn da famiglia di origini italiane. Era vedovo, due figli maschi, uno sposato l’altro con gravi problemi mentali. In un primo momento era orientata al rifiuto, vedovo, due figli maschi e pure grandi, ma Vincent era un grande affabulatore, elegante, garbato, non alzava mai la voce, pronto a smussare le asprezze di Orsola. Si rivelò l’uomo che aveva sempre desiderato, blue eyes, my love, si rivolgeva a lei cantando, canzoni americane o italiane, e anche napoletane. Smise di lavorare, il figlio handicappato fu messo in un istituto, lei fu felice di aver atteso l’arrivo dell’uomo che aveva sognato, una volta mi confidò che era un vero uomo. Chissà a cosa si riferiva, io pensai che mi volesse dire che Vincent l’aveva soddisfatta anche sessualmente.
Frequentò una scuola di inglese, fece amicizie oltre i parenti, abitò a Bay Ridge, un quartiere italiano e ebraico. Poteva parlare italiano e napoletano che la capivano tutti, ma non si integrò mai completamente. Sarebbe stato così anche se fosse rimasta il Italia.